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Il Gioco dei Regni

Il gioco dei regni
Clara Sereni
Giunti editore
1993
544 pagine
Narrativa
15,00€
4/5

Ad Alta voce

Letto da: Monica Piseddu






Clara Sereni è stata una scrittrice, giornalista e traduttrice italiana e questa è la storia della sua famiglia. Della famiglia Sereni: da Alfonsa e Lello, nonni paterni di Clara fino alla morte dell’amato padre.

Viene spiegato molto presto il significato del titolo: il gioco dei regni.

Fino alla lettura di questo libro ho sempre pensato di essere stata una bambina molto fantasiosa. Avevo inventato anche io con i miei cugini un gioco su una banda che doveva proteggere il re Alloro (un albero che avevo in giardino) in seguito alla caduta della regina Quercia (albero mai esistito). C’erano i nemici costituiti da formiche e alcune specie di uccelli, e gli amici della nostra banda ovvero farfalle e l’uccellino Cip che, attraverso il mio orologio della Swatch con un polpo rosa raffigurato, che avevo chiamato Polipo, comunicavano con noi.

Mai però avrei potuto inventare un gioco così complesso come Il gioco dei regni. Un re, il primogenito Enrico, e tutto ciò che costituisce un regno: banchieri, giornalisti, politici, ecc.
Si pubblicavano giornali, scrivevano editti, giuramenti, relazioni delle riunioni, mappe cittadine, brochure di musei, banconote e una clessidra, donata dal nonno Pellegrino Pontecorvo, che scandiva il tempo: un giro di clessidra, un anno.
Nacquero alleanze ma anche insurrezioni e lotte al potere. Capite che era un gioco fin troppo serio e complesso.
Terminata l’infanzia, almeno quella di Enrico, il gioco andò via via a morire e con quello anche l’unione dei tre fratelli.
Ognuno prese una strada diversa, tutta sua, che ha portato i fratelli a scontrarsi e a separarsi.

Enrico, Enzo, Emilio. I tre figli maschi tutti con l’iniziale ‘E’ come una dinastia, un’unica iniziale per tutti: perché crescessero uniti, per l’orgoglio di casata di Lello o per la riluttanza di Alfonsa a cambiare le cifre sulla biancheria trasmessa dall’uno all’altro.

Enrico era lo scienziato, quello che seguì le orme del padre e fece varie scoperte in ambito della fisiologia.
Enzo è stato un attivista, scrittore e sionista. Partì per la Palestina e fondò il kibbutz Givat Brenner; era un sostenitore della coesistenza tra ebrei e arabi.
Emilio detto Mimmo, padre di Clara. Comunista
Lea: mi dispiace che venga appena accennata. Probabilmente Emilio era più legato ai fratelli maschi ma questa zia viene proprio relegata ai margini. Gli stessi genitori sembra che non la nominino mai.
Alfonsa, donna molto concreta, spiccia. Non si è mai voluta intromettere nelle scelte dei figli e questa sua risolutezza la porterà anche a soffrire in silenzio per le loro liti.
Samuele detto Lello è un uomo adorabile, di una tenerezza unica, col suo “non mi fate perdere tempo” per mascherare l’affetto verso i figli a una moglie troppo rigida.
Xenia, rivoluzionaria russa: un unico amore, Lev, il padre di sua figlia, anch’esso rivoluzionario che muore giovane. Una donna trattata malissimo dalla figlia che forse non l’ha mai veramente perdonata per le sue scelte di vita.
Ed è una cosa che non riesco a spiegarmi perché mentre per tutta l’infanzia e l’adolescenza non ha fatto altro che sognare una vita diversa, una mamma normale e a fare e dire tutto il contrario di ciò che faceva la mamma, poi, come ci insegna Cent’anni di solitudine, la Storia si ripete e Xenia finisce per fare l’attivista politica, a viaggiare e scappare in varie città europee, cambiare casa, lavoro, e scrive una lettera alla mamma dove, certamente le dice che non dovranno scriversi più ma le dice anche che finalmente la capisce e la apprezza come mamma e come persona. Quindi perché poi torna indietro?
Xeniuska: che diviene un tutt’uno col suo Mimmo. Che lo sostiene, che lo riporta all’ordine e all’equilibrio quando la vita politica e i libri lo assorbono troppo. Che fa in modo che non venga disturbato. Il suo amore è talmente grande che è sollevata di morire prima di lui, perché lui può andare avanti senza di lei, ma non viceversa.
Ada, cugina e moglie di Enzo che dopo la sua morte ha continuato il progetto di Enzo e ha fatto partire molti profughi verso la Palestina.

È curioso che critici illustri ma anche cineasti di tutto rilievo e profondità rispetto a questo libro si siano in misura assolutamente prevalente interessati alle figure maschili, con mia notevole delusione: forse non sono stata abbastanza brava io a raccontarle, ma penso anche che i pregiudizi sulle donne siano talmente radicati nella testa dei maschi che non basta certo un libro a modificarli.

Nella postfazione, Clara Sereni, ci confessa che ha preso coscienza di chi fossero i componenti della sua famiglia solamente in età adulta e per caso. Le era stata raccontata una storia viziata dai sentimenti, idee e dai rancori che le persone si portavano dietro. Si avvale, quindi, di vari documenti ritrovati come base per poter raccontare una storia quanto più oggettivamente possibile. Seguendo tanti personaggi, avendo il punto di vista di ciascun personaggio (Alfonsa, Lello, Enrico, Enzo, Mimmo, Xenia, Xeniuska e persino Ada ed Ermelinda) abbiamo quindi una visione più ampia possibile della famiglia, cercando, secondo me, di dare giustizia ad ogni componente.
Ovviamente non è questa una verità assoluta perché si tratta pur sempre di un processo di sintesi dei vari materiali raccolti (fortunatamente la sua famiglia ha lasciato un segno nella Storia, ognuno a modo proprio e secondo i propri ideali), interpretazioni dei pensieri e dei sentimenti, ricostruzioni delle azioni e degli eventi.
Tutto intorno alla storia familiare c’è poi un pezzo di Storia del Novecento italiano e mondiale.
La famiglia Sereni, di origine ebraica, attraverso la prima guerra Mondiale, il fascismo, le persecuzioni politiche e poi quelle razziali, i campi di concentramento e la ricostruzione del dopoguerra.
Seguendo le vicende di Mimmo e Xenia ci si rende conto di cosa significasse aderire al Partito Comunista in quegli anni: una totale abnegazione. Il Partito doveva venire prima di qualunque altro aspetto della vita: affetti, famiglia, figli e malattia.
Sono rimasta basita dalla lettera scritta da Mimmo in cui chiedeva il permesso di poter portare sua moglie a curarsi a Mosca. Sottolineando e promettendo che lei avrebbe continuato a lavorare per loro durante tutta la malattia.
Un partito che li ha allontanati da Enzo, dagli amici, da Xenia.

Il lessico è abbastanza semplice, talvolta vengono utilizzati dei termini ebraici ma alla fine del libro è presente un glossario che chiarisce tutto. I periodi non troppo lunghi, non possiedono troppe subordinate. Vengono utilizzati vari stili narrativi, a volte si ritrovano documenti o pagine di diario scritte da altre persone. La lettura ne risulta non così immediata però neanche così impossibile. Lo svolgimento della trama è abbastanza lineare: dagli inizi del secolo al 1977 circa. I capitoli non iniziano tutti con un soggetto chiaro, che comunque viene definito entro poche righe però la cosa non mi piace tantissimo: preferisco che si titoli il capitolo o che questo si apra con un soggetto.

Una lettura che richiede concentrazione; ho iniziato la lettura ascoltando il podcast di Ad alta voce ma ad un certo punto ho sentito l’esigenza di un supporto visivo e di prendere appunti.
È un libro speciale, certamente interessante, ho scoperto una famiglia che dovrebbe essere un patrimonio nazionale, che tutti dovremmo conoscere. Davvero consigliato a tutti.


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