📅 2006 | 📚 128 pagine | 🏷️
Nottetempo
⭐️⭐️⭐️⭐️ 4/5
Cari lettori,
da qualche anno ho deciso che aprile è il mese della Sardegna (perché il 28 del mese si celebra Sa die de sa Sardigna) e così mi dedico alle letture ambientate e scritte da autori e autrici miei conterranei.
Lo scorso anno, insieme a Accabadora di cui potete leggere la recensione qui, ho letto anche questo racconto lungo.
Un romanzo breve ma intenso, ambientato nella Cagliari degli anni ’50, ancora segnata dalla guerra e dalla povertà. A raccontare la vicenda è la nipote, che, ristrutturando la vecchia casa di famiglia in via Manno, storica via al centro di Cagliari, ritrova il diario della nonna: una donna considerata “pazza” dal paese, chiacchierata e incompresa, costretta a sposare un uomo che non amava e che non l’amava. Questo perché aveva un comportamento ritenuto poco conforme: invece di essere riservata e docile come ci si aspettava dalle ragazze dell’epoca, provocava gli uomini, parlava troppo liberamente di sesso, scriveva poesie ardenti e faceva domande imbarazzanti.
Questi atteggiamenti alimentavano i pettegolezzi e resero molto difficile per lei trovare marito: i pretendenti la rifiutavano o sparivano poco dopo averla conosciuta.
Alle terme, dove si reca per curare i calcoli renali e i continui aborti spontanei, la nonna incontra il Reduce: un uomo enigmatico, con un passato di guerra che resta in ombra, ma capace di accendere in lei un amore vero e struggente.
Il “mal di pietre” diventa metafora di un “mal d’amore”: una sofferenza fisica e sentimentale che attraversa le pagine del diario. La Cagliari raccontata da Agus è verticale, labirintica e luminosa, sospesa tra la durezza della vita quotidiana e l’infinito che si apre dai Bastioni sul mare.
Nonna pensava che dipendesse dal mare e dal cielo blu, e dall'immensità che vedevi dai Bastioni, nel vento di maestrale, era tutto così infinito che non ci si poteva fermare alla propria piccola vita.
Alcune descrizioni, come quelle sulle case chiuse, risultano forse troppo crude, ma nel contesto del diario trovano una loro giustificazione. Nel complesso, una lettura rapida ma densa, capace di intrecciare memoria privata, guerra e paesaggio in un racconto delicato e malinconico.
Così verticale, che quando arrivi al porto dal mare, a lei era capitato una volta su un barcone per il rientro di Sant’Efisio, le case ti sembrano costruite una sull’altra. Cagliari, come la Genova descritta dal Reduce e da quel suo amico, o da quell’altro poveretto, quel Dino Campana che era morto in manicomio, buia e labirintica e misteriosa e umida, che si apre a improvvisi e inaspettati varchi sulla grande luce mediterranea, accecante. Allora, anche se vai di fretta, non puoi non affacciarti da un muretto, o da una ringhiera di ferro e non goderti il cielo e il mare e il sole ricchissimi. E se guardi giù vedi i tetti, i terrazzi con i gerani e la biancheria stesa e le agavi sui pendii e la vita della gente, che davvero ti sembra piccola e fuggevole, però anche gioiosa.
L’autrice mescola italiano e inflessioni sarde: non un esperimento linguistico radicale, ma un modo di rendere verosimile il parlato e l’atmosfera locale. Chi non è sardo può trovarlo ostico, ma l’intento è di restituire la realtà dei paesi dell’epoca e offrire ai lettori uno spunto per cimentarsi con suoni diversi.
Milena Agus, nata a Genova da genitori sardi nel 1959, è tra le voci più note della narrativa contemporanea sarda. Nei suoi romanzi emergono spesso donne al centro delle storie, legate a un forte senso di luogo e memoria. Mal di pietre è stato finalista al Premio Strega, al Premio Campiello e al Premio Stresa di Narrativa. Nel 2016, Nicole Garcia ne ha curato l’adattamento cinematografico, con Marion Cotillard come protagonista; il film, però, non è stato girato in Sardegna, ma principalmente nella regione della Provenza e sulla Costa Azzurra, nel sud della Francia, cosa che personalmente non ho gradito: per una volta che si parla della Sardegna, avrei preferito vederne i paesaggi e la città.
In Mal di pietre, lo sfondo storico del dopoguerra e la Cagliari del boom economico nascente contribuiscono a delineare un’epoca segnata dalla povertà, dai pettegolezzi di paese e dalla difficile posizione della donna nella società. Milena Agus mescola italiano e inflessioni sarde, non come esperimento linguistico radicale, ma per rendere verosimile il parlato e l’atmosfera locale.
Nel complesso, una lettura breve ma densa, che intreccia memoria privata, guerra e paesaggio in un racconto delicato e malinconico.
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