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Cinquina Premio Strega 2025

 

🎉 La cinquina del Premio Strega 2025 è ufficiale!

Cari lettori,
come sapete, ieri — 4 giugno 2025 — è stata annunciata la cinquina finalista del Premio Strega 2025. La serata, svoltasi al suggestivo Teatro Romano di Benevento, è stata trasmessa in diretta su Raiplay.

Abbiamo già parlato delle trame e degli autori della dozzina in un precedente post, quindi oggi ci concentriamo sui cinque finalisti. Eccoli qui:

1️⃣ Andrea Bajani, L’Anniversario
2️⃣ Nadia Terranova, Quello che so di te
3️⃣ Paolo Nori, Chiudo la porta e urlo
4️⃣ Elisabetta Rasy, Perduto è questo mare
5️⃣ Michele Ruol, Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia

Devo dire che al mio toto-Strega ne ho azzeccati ben 4 su 5! 🎯 Avevo previsto Wanda Marasco al posto di Rasy, ma non è stata una grande sorpresa: Marasco è in corsa anche per il Premio Campiello, quindi forse è stata sacrificata strategicamente per non penalizzarla.

Ora, passiamo a scoprire meglio questi finalisti! 📚


🔍 Gli incipit dei cinque candidati



Andrea Bajani, L’Anniversario

1.

L’ultima volta che ho visto mia madre, mi ha accompagnato alla porta di casa per salutarmi. Dopo di che ha aspettato di vedermi sparire nell’imbuto delle scale prima di chiuderla. Mia madre non è mai stata da gesti di commiato, principalmente perché era sopraffatta da una forma di timidezza molto prossima alla negazione di sé. Il che, nel concreto, le rendeva impossibile ogni retorica: in nessun modo avrebbe potuto trasformare in una messa in scena, sia pure temporanea, ciò che lei stessa considerava tanto marginale. Per questa stessa ragione, credo, non si riconosceva il diritto di certificare l’inizio o la fine di nulla. Era alle spalle di mio padre quando la porta si apriva, ed era alle spalle di mio padre quando, al termine di ogni mia visita, il battente li inghiottiva dentro casa. Eppure quel giorno fu lei a salutarmi per ultima, sola oltre la soglia, all’imbocco delle scale. Più che congedarmi, in qualche modo mi seguì. Con la visuale degli anni che sono passati da allora, mi verrebbe da dire che non le era possibile lasciarmi andare. È un dato di fatto che mentre io guadagnavo l’uscita retrocedendo, coprendo ogni passo con parole fumogene, mia madre avanzava con analogo passo. Vista con gli occhiali della scrittura, la scena assume le sembianze di una danza, un piede di uomo all’indietro e uno di donna a rincalzo, un altro passo di figlio, ancora uno di madre, fino all’uscita.

Avevo già previsto la sua candidatura in dozzina e in cinquina, quindi non sono affatto sorpresa. L’incipit è molto toccante e coinvolgente. È un addio sommesso e delicato, senza retorica, ma con una fortissima intensità emotiva. L’immagine della “danza” di madre e figlio è potente e poetica. È probabile che il romanzo lavori sul lutto e sul rapporto madre-figlio, ma anche sul tema del tempo e della memoria. Mi si stringe il cuore. Penso che il romanzo tocchi un nodo culturale e sociale molto attuale quindi ha tutte le carte in tavola per poter vincere.

💡 Per chi lo consiglierei: lettori interessati ai rapporti familiari, ai romanzi intimisti, a una prosa elegante e riflessiva.




Nadia Terranova, Quello che so di te

Mi sporgo verso la culla, guardo giù dentro il cratere. La bambina è rannicchiata sotto le lenzuola, ma la testa è fuori, le mani unite in una forma di preghiera. Ha gli occhi spalancati, muove la bocca in un discorso senza voce. È atterrata sul nostro pianeta da poche ore e ha già disatteso quello che pensavo di sapere di lei: mi avevano detto che avrebbe pianto o dormito, non che l’avrei trovata sveglia e senza lacrime, senza richieste da interpretare o da esaudire. È indifferente a tutto, anche a me. A più di venticinque centimetri di distanza io per lei non sono neppure un’ombra. Venticinque centimetri dista in media un capezzolo dal viso cui appartiene, perciò i neonati riconoscono i lineamenti della madre che li allatta, ma oltre quella distanza la madre viene oscurata dalle tenebre. Mani minuscole e grinzose grattano sul lenzuolo, un rumore siderale mi tocca e non mi appartiene. A più di venticinque centimetri, una madre non è niente. L’inesistenza è il mio ultimo sollievo. Se non esisto, non posso sbagliare. Il verde degli alberi incombe dalla finestra, mia figlia mi guarda ma non mi vede. In quel momento, dentro quel preciso nulla, nell’isolamento dell’ospedale in cui ho appena partorito, capisco cosa non potrò mai più permettermi di fare. Impazzire.

Inizia con una premessa che lascia intravedere un’atmosfera più corale e genealogica, e c’è subito un forte richiamo alla “mitologia familiare” e alla memoria, con una tensione tra realtà e invenzione. Sembra un continuo ideale di Addio fantasmi. Evidentemente Terranova aveva ancora qualcosa da dire. Vedremo quali altri tasselli aggiungerà. Un incipit più immediato, con un taglio realistico e psicologico fortissimo. L’ambientazione ospedaliera, la descrizione cruda e poetica della distanza tra madre e figlia e il legame con la maternità sono esplorati in modo profondo. Bella la scelta di puntare sul tema dell’“inesistenza” come sollievo: è un ottimo gancio per chi ama i romanzi di introspezione psicologica e maternità non idealizzata.

💡 Per chi lo consiglierei: chi apprezza riflessioni profonde sul ruolo di madre, sulla solitudine e sulla trasformazione personale.




Paolo Nori, Chiudo la porta e urlo

0

Tu e gli altri

«La battaglia contro la coglionaggine comincia da se stessi» scrive Raffaello Baldini. Lo scrive in un monologo, che si intitola La fondazione. E a me viene in mente quel che dice Ricky Gervais, che quando sei morto tu non lo sai, è doloroso solo per gli altri. La stessa cosa, dice, succede quando sei stupido. Ecco. Cominciamo pure.

1 Mestieri

1.1 Coerenza

Era l’inverno che avevamo tutti paura che la bolletta del gas fosse il triplo di quella dell’inverno precedente. La prima volta che ho patito freddo in casa mia. Tenevo sempre spento. La Battaglia, a casa sua, studiava con addosso dei panni. Quando si alzava per andare a prender da bere, sembrava un cavaliere col suo mantello. Non eravamo poveri, eravamo coglioni, come sempre.

Nori gioca da subito con un tono ironico, quasi di stand-up letterario. È un incipit che “spacca” rispetto agli altri per la sua leggerezza e autoironia. Non sono esperta di poesia, ma trovo giusto portare avanti questa campagna di educazione letteraria. Tuttavia, lo stile di Paolo Nori, con un tono ironico e disincantato, che mescola riflessione e leggerezza, non mi prende, non mi piace. Non credo leggerò il libro.

💡 Per chi lo consiglierei: lettori di letteratura contemporanea ironica e di denuncia sociale, chi ama lo stile diaristico e frammentato.




Elisabetta Rasy, Perduto è questo mare

Mare scintillante, trasparente. Quando lo squillo si fa strada nel frastuono della barca dei gitanti e leggo il nome di sua figlia sul telefono capisco che è un’emergenza. Ci penso un po’ prima di lasciare l’isola, le notizie sono altalenanti, forse ce la fa a raggiungere quella meta cui tanto aspira e che noi, noi ormai pochi attorno a lui, invochiamo come una cerimonia magica: il centesimo compleanno. Invece quarantotto ore dopo sono a Roma ma Raffaele non aspetta, nella notte se ne va, in una brutta stanza di un vecchio ospedale, proprio tutto quello che non desiderava, che non desideravamo. Anche il funerale va fatto in fretta. Non conta che il defunto sia uno scrittore di lunghissimo corso e molto amato: due giorni dopo è il 29 giugno, la festa dei patroni di Roma Pietro e Paolo, e non si possono celebrare esequie nelle chiese che si preparano a santificare l’evento, quindi bisogna sbrigarsi. Una vita lunga e un breve addio. A Sant’Ignazio siamo in pochi, fa già un gran caldo e poi c’è il ponte per la festa, e tanti amici l’hanno preceduto, ma lui non era affatto stanco di vivere, anche se perlopiù la sua vita adesso la passava a letto. Scelgo per le letture un brano dell’Antico Testamento che mi ha sempre molto turbato: è Deuteronomio, 34,4. “Il Signore gli disse: ‘Questo è il paese per il quale io ho giurato ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe: Io lo darò alla tua discendenza. Te l’ho fatto vedere con i tuoi occhi, ma tu non vi entrerai’”. Così Mosè, che ha fatto tanta fatica ad arrivare fin lì, a portare fin lì dall’Egitto il suo popolo recalcitrante e litigioso, a tenerlo a bada nelle sue intemperanze, a istradarlo alla legge, nella terra promessa non ci entrerà. Del resto, fin dall’inizio della nostra amicizia, Raffaele ed io condividevamo una intima certezza: la terra promessa è sempre una terra perduta.

Non ho ancora letto Ferito a morte di Raffaele La Capria, ma sicuramente leggerò entrambi.

💡 Per chi lo consiglierei: chi cerca romanzi sulla memoria, sull’eredità affettiva e intellettuale e per chi ha letto i libri di Raffaele La Capria.




Michele Ruol, Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia

Parte prima

Casa

ingresso Un tavolino, un appendiabiti, uno specchio, una mensola vuota: tutto è sbiadito, ricoperto da uno strato di polvere densa come la cenere che si deposita a terra dopo un incendio.

1. cornice in argento, 15x22 cm La foto dei ragazzi sul tavolino nell’ingresso è la stessa che avevano usato per la lapide. È stata scattata dopo un pranzo di Natale e li ritrae, il volto arrossato e la camicia sbottonata, mentre Maggiore prende sottobraccio Minore. I due fratelli si guardano, anticipando di un attimo il momento in cui scoppieranno a ridere. Dopo quella foto, non ce ne sono state altre, o quanto meno non di loro due e basta. Qualche istantanea in posa – Maggiore in piedi, Minore in ginocchio – con il resto della squadra a un torneo organizzato dalla parrocchia, o tutti in fila con gli amici, la torta di compleanno sul tavolo. Decine di autoscatti con smorfie, occhiali a specchio, segni dell’abbronzatura, boccali di birra alzati. Ma altre foto che meritassero di essere stampate e messe in una cornice d’argento, quelle no.

Leggendo la trama quando il libro è entrato in dozzina, ero rimasta delusa scoprendo che, nonostante il titolo, non fosse un libro ambientalista. Evidentemente Ruol intendeva una foresta interiore. Dall’incipit, spoglio, con un ritmo quasi da catalogo, sembra invece un inventario di oggetti che raccontano una storia molto triste. Un luogo familiare devastato dal tempo e dal dolore, un luogo che diventa una lente attraverso cui osservare la perdita e la memoria.

💡 Per chi lo consiglierei: chi ama i romanzi di ricostruzione familiare e memoriale, chi apprezza un taglio minimalista.


📊 Qualche considerazione

  • Tre uomini e due donne in cinquina, con un’età media di 54,8 anni (Bajani 49, Terranova 47, Nori 62, Rasy 77, Ruol 39).

  • L’età media è leggermente più bassa rispetto a quella dello scorso anno (55,6 anni) e comunque decisamente più giovane rispetto a quella del Campiello (oltre i 60 anni).

  • Mi dispiace per Saba Anglana e Valerio Ajolli: leggerò i loro libri comunque, indipendentemente dal premio.

  • Continuo a pensare che Ajolli sia un candidato fortissimo per la vittoria finale. I voti ottenuti finora mi danno ragione! 🏆

Ecco quindi la cinquina finalista di quest’anno: un gruppo di autori e romanzi che spaziano dai rapporti familiari alla memoria, con ironia, minimalismo o sentimentalismo. Scrittori, poeti o persone comuni è una cinquina che parla di sentimenti. Personalmente, non vedo l’ora di scoprire quale di questi romanzi si aggiudicherà il Premio Strega 2025! E voi, lettori, avete già il vostro favorito? 📚✨

Appuntamento a giovedì 3 luglio al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma oppure comodamente a casa perché verrà, come sempre, trasmesso in tv su Rai Tre con la conduzione di Pino Strabioli perché Geppi Cucciari è troppo scomoda e fa fare brutta figura ai ministri che votano ma non leggono i libri.

Buone letture,

I.  

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