Blonde di Joyce Carol Oates
⭐️⭐️⭐️⭐️/5
📅 1999
📚 1320 pagine
📖 La nave di Teseo
Non ho mai visto un film di Marilyn Monroe. La sua immagine patinata, da diva un po’ svampita, mi è sempre sembrata distante, quasi posticcia. Eppure, con Blonde, Joyce Carol Oates è riuscita a farmi appassionare a una storia che, a dirla tutta, non mi importava nemmeno.
Non si tratta di una biografia in senso stretto: è una biografia romanzata, una ricostruzione letteraria che si prende molte libertà e affonda con forza nell’infanzia, nelle paure, nel corpo e nei sogni infranti di Norma Jeane Baker.
🌟 Blonde è stato finalista al Premio Pulitzer e al National Book Award, ed è considerato uno dei romanzi più ambiziosi di Joyce Carol Oates.
In Blonde, la vita di Norma Jeane è una discesa lenta e luminosa verso il buio.
Una madre fragile, un padre assente, un orfanotrofio che paradossalmente si rivela una parentesi serena, fatta sì di asperità ma anche di affetti sinceri. Poi l’adozione, tardiva, e le attenzioni sbagliate del patrigno, che portano al primo matrimonio: quasi un esilio camuffato da protezione.
Ma è proprio lì che Norma scopre la libertà, complice anche la guerra che porta via gli uomini: la fotografia, il lavoro da modella, la metamorfosi in attrice.
Marilyn appare come un’attrice perfezionista, pur senza molta tecnica. Ci mette tutta se stessa nei personaggi che interpreta. Cerca di essere naturale:
“Sono dentro di me. Io sono loro. Cioè, sono personaggi ma sono anche persone vere, persone che vivono nel mondo.
Tesoro, non riesco a capirti. E suppongo che tu non creda davvero a quello che dici.
Se quei personaggi non fossero in qualche modo anche delle persone reali, voi autori non riuscireste a scrivere di loro. E nessuno li riconoscerebbe.”
Poi arrivano Joe DiMaggio, con il suo amore possessivo, e Cass ed Eddie, in un legame a tre fatto di fragilità e attrazione. Norma è più coinvolta da Cass (ispirato a Charlie Chaplin Jr.), un’anima spezzata come lei, con cui condivide un senso di irrequietezza e malinconia. Ma anche quel rapporto è destinato a dissolversi.
Più tardi incontra il Drammaturgo (Arthur Miller), che sposa e con cui si trasferisce a New York, sperando ancora in una forma diversa d’amore, più intellettuale, più profonda. Anche qui, però, la delusione è dietro l’angolo.
Ma nulla è normale nella sua esistenza: le gravidanze interrotte, il dolore fisico e psicologico, la crescente dipendenza dai farmaci.
🌟 Le sue tre gravidanze, tutte interrotte (due aborti spontanei e una gravidanza ectopica), sono tra gli aspetti più dolorosi della sua vita privata, e nel romanzo sono raccontate con grande intensità.
Infine JFK, l’ultima illusione, il punto più estremo dell’oggettivazione. E poi, solo solitudine, silenzi, luci sfocate.
“Quella notte dell’ottobre 1934, la nonna era morta ormai da molti mesi, e da molti più mesi era morto il nonno Monroe, e a quel numero, anche se avesse osato chiamare, non c’era più nessuno da chiamare.
Non c’era nessuno, a nessun numero, che Norma Jeane potesse chiamare.”
Oates non ricostruisce una biografia: ricompone un’identità frantumata. E riesce a trasformare Norma Jeane – prima ancora di Marilyn – in un personaggio tragico, umano, profondamente riconoscibile. Anche per chi non l’ha mai guardata davvero.
Il romanzo ci trascina dietro le quinte di Hollywood, in un mondo fatto di sogni e sfruttamento, glamour e abusi, bellezza e cancellazione. È una fabbrica di immagini, dove conta solo ciò che appare, e chi sei davvero – fragile, intelligente, spezzata – non interessa a nessuno.
Gli uomini decidono, i corpi si vendono, le emozioni si ingoiano. Norma Jeane impara presto a trasformarsi in Marilyn, a sorridere anche quando vorrebbe urlare, a essere desiderata ma mai ascoltata.
Hollywood le promette tutto e poi le toglie ogni cosa. È un luogo in cui si viene plasmati e poi buttati, soprattutto se si è donne.
Oates racconta tutto questo con uno sguardo lucido, impietoso: la contraddizione tra l’immagine pubblica e la sofferenza privata, tra la diva e la bambina abbandonata, tra la finzione e la verità. E lo fa senza mai cadere nel pietismo.
🌟 Nonostante l’immagine pubblica, Marilyn leggeva moltissimo e teneva un diario. Amava Dostoevskij, Joyce, Whitman.
Di Joyce Carol Oates avevo letto solo Acqua nera, un romanzo breve, teso, che scava nell’abuso di potere e nella fragilità femminile. I due romanzi hanno alcuni punti in comune: l’ispirazione a figure reali, il desiderio di indagare il mito americano e l’attenzione costante alla condizione femminile, soprattutto nel confronto con il potere maschile.
In entrambi, Oates reinventa fatti realmente accaduti – la vita di Marilyn Monroe da un lato, il caso Chappaquiddick dall’altro – per esplorarne il lato oscuro e simbolico. Tuttavia, Acqua nera è un racconto breve e claustrofobico, dominato da un’unica scena e da una voce interiore che si fa sempre più tragica. Blonde, invece, è un romanzo fiume, che intreccia memoria, trauma, cultura pop e finzione letteraria per raccontare non solo la solitudine di Norma Jeane, ma anche lo sguardo collettivo che l’ha trasformata in icona.
🌟 Joyce Carol Oates è una delle scrittrici più prolifiche della letteratura americana contemporanea: ha pubblicato oltre 100 libri, tra romanzi, racconti, saggi e poesie.
Ho letto Blonde con piacere e interesse, nonostante la mole. Per me, che conoscevo solo a grandi linee la storia di Marilyn, è stata una lettura sorprendente.
Vale la pena investire tempo e attenzione in questo libro: restituisce emozione, consapevolezza, rabbia, compassione.
Certamente leggerò ancora Joyce Carol Oates e… magari, finalmente, vedrò un film di Marilyn.
Fammi
sapere se anche tu hai letto Blonde o se
hai visto qualche film con Marilyn Monroe.
Hai consigli
da darmi? Scrivili nei commenti!
✨ Sempre e per sempre, buone
letture!
I.
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