Andrea Tarabbia – Il Continente Bianco
Bollati Boringhieri, 2022 – 252 pagine
Il continente bianco è stato candidato al Premio Strega 2023 e ha raggiunto la “dozzina” dei semifinalisti.
Andrea Tarabbia (1978) è uno scrittore italiano che indaga spesso il lato oscuro dell’animo umano. Ha vinto il Premio Campiello nel 2019 con Madrigale senza suono. I suoi romanzi uniscono introspezione, storia e una forte attenzione alle voci narranti, esplorando la violenza, la colpa e l’ambiguità morale.
Il continente bianco si apre con un delitto: la moglie dello psichiatra, il dottor P, è stata uccisa. Questo è l’epilogo di una vicenda che ci viene raccontata da un uomo che porta lo stesso nome dell’autore e che, come lui, fa lo scrittore. Proprio il dottor P mette al corrente il suo paziente–Andrea–del fatto che sua moglie ha un amante. È forse questa curiosità tipica di chi scrive che spinge Andrea a indagare su quell’uomo sconosciuto, o forse la bellezza inquieta della donna e la particolarità del suo amante: Marcello Croce, biondo, capelli corti, un occhio blu e uno verde. Un ragazzo enigmatico e disturbante, che sembra vivere in una realtà tutta sua, fatta di visioni, simboli e ossessioni.
Mentre prova a capire chi sia Silvia e che rapporto abbia con quel giovane, Andrea viene trascinato in un territorio sempre più ambiguo, dove le testimonianze non coincidono, la memoria traballa e il confine tra osservatore e protagonista diventa labile. La voglia di inseguire una buona storia per un prossimo romanzo, diventa un viaggio nelle zone d’ombra dell’animo umano e della narrazione stessa.
Marcello è un neofascista, capo di un gruppo organizzato che si chiama Continente Bianco.
Il suo discorso programmatico è limpido e inquietante:
«Credete che in Italia, oggi, esistano così poche persone che la pensano come noi come pochi sono, in fondo, coloro che le rappresentano nelle Camere?» sollevò i rebbi delle dita, come se contasse, ma non contava: «No signori miei, noi siamo milioni! Potenzialmente siamo milioni! Solo che non tutti coloro che appartengono, oltre che alla nostra nazione, alla nostra idea, ne sono consapevoli o hanno il coraggio di manifestarlo apertamente. Noi dobbiamo aiutare queste persone, questi patrioti sommersi, a ritrovare sé stessi e a mettersi in marcia insieme a noi. L’Italia è uno Stato democratico imposto con la forza a una nazione intimamente fascista. Tenetelo sempre bene a mente: la sconfitta del fascismo, poiché ci sia stata una sconfitta non può essere negato, è stata militare, non politica. Il fascismo è stato eliminato a forza di legge, ma è radicato nelle famiglie italiane, nella loro natura più intima e più profonda»
Marcello sa benissimo chi sia Tarabbia e vuole che lui scriva di loro e del Continente Bianco.
Marcello sa perfettamente chi sia Tarabbia e vuole che lui scriva di loro, del loro movimento, della loro idea di “continente bianco”: un mondo ideale e glaciale, di purezza e appartenenza, ma anche un non-luogo mentale che riflette vuoti, ossessioni e allo stesso tempo un bisogno di identità estrema.
Questa è, in fondo, la storia di un gruppo di neofascisti e di una donna che cade in un ginepraio dal quale non riesce più a liberarsi, fino all’inevitabile tragedia già annunciata nelle prime pagine. La “rivoluzione” che i vertici immaginano come culturale—nella realtà una dittatura—si declina in modi diversi scendendo nei piani bassi della manovalanza: ci sono i picchiatori che se la prendono con sinti e immigrati, e ci sono coloro che sono lì solo per far parte del gruppo, comprese le donne.
È un mondo lontanissimo dal mio: non ne faccio parte e non conosco nessuno che ne faccia parte, né ora né in passato. Così mi ritrovo un po’ come Tarabbia: pur sapendo che quel gruppo rappresenta violenza, intimidazione e male, c’è qualcosa che attrae, che spinge ad ascoltare, ad assistere, a cercare di capire. Ho letto il libro velocemente, pur conoscendo il finale, perché l’interesse stava proprio nel capire come ci si sarebbe arrivati e dove l’autore volesse condurre il lettore.
Personalmente ho trovato più interessante la parte relativa ai neofascisti rispetto a quella dedicata alla donna, che verso la fine mi ha disturbata non poco. Il finale non l’ho completamente compreso.
Il romanzo prende spunto da L’odore del sangue di Goffredo Parise — rimasto incompiuto — e Tarabbia sceglie di farsi raccontare la vicenda dallo psicologo che, nel libro di Parise, era la voce narrante. Un gioco metaletterario che aggiunge ulteriori strati di senso.
La violenza, soprattutto quella esercitata sui fragili o del tutto gratuita, è qualcosa che non mi appartiene e che mi respinge. Eppure mi sono ritrovata, come il narratore, spettatrice passiva ma incuriosita dal vedere come si sarebbe arrivati a quel finale annunciato. Credo che sia proprio qui il merito dell’autore: rendere leggibile e persino coinvolgente un mondo da cui si vorrebbe istintivamente distogliere lo sguardo.

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